“SCUSI, PERCHÉ NON È LEI IL MINISTRO DEL LAVORO?”

UN BUON POLITICO NON DEVE IDENTIFICARSI TROPPO CON UN PROGETTO, COME HO FATTO IO CON IL CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI – SE POI QUEL PROGETTO È REALIZZATO DA ALTRI, QUESTO PER L’AUTORE È SOLO MOTIVO DI MAGGIORE SODDISFAZIONE

Messaggio pervenuto il 23 gennaio 2015 – Segue la mia risposta

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Caro Senatore, le pongo una domanda a cui non so se lei sa e può rispondere, e neppure se lei vuole rispondere. Anche la sua eventuale non risposta sarà a suo modo una risposta. Premessa: i contenuti più rilevanti della legge-delega sul lavoro 10 dicembre 2014 n. 183 (contratto a tutele crescenti, codice semplificato, riforma dei servizi per l’impiego con al centro la cooperazione tra struttura pubblica e agenzie private per mezzo del contratto di ricollocazione) nel disegno di legge originario del Governo non c’erano: essi sono il frutto di Suoi emendamenti accolti dalla Commissione Lavoro del Senato. Poiché immagino che questo non sarebbe potuto accadere se questi contenuti non fossero condivisi dal Presidente del Consiglio, ecco la domanda: perché lo stesso Presidente del Consiglio che fa proprie le Sue proposte non ha scelto Lei come ministro del lavoro? Perdoni l’impertinenza e la consideri come segno di apprezzamento per quanto sta facendo per il nostro paese.
Giorgio Giannini (sono quello che ieri a Roma le ha messo in mano il libretto sull’apprendistato all’uscita dal convegno sul contratto a tutele crescenti)

Nella scelta dei ministri, un Presidente del Consiglio deve tenere conto di una infinità di esigenze e di circostanze. Che Matteo Renzi condividesse un anno fa e condivida tuttora gran parte del mio progetto di riforma del diritto e del mercato del lavoro non è un mistero per nessuno; ma non basta condividere un progetto perché il suo autore debba necessariamente essere scelto come ministro per la sua attuazione. D’altra parte, un buon politico non deve identificarsi troppo con un progetto, come ho fatto io con il Codice semplificato e il contratto a tutele crescenti nei miei sette anni di lavoro in Senato. In questo ho agito più da studioso, da “tecnico”, che da politico. Non me ne rammarico, perché se in questo periodo non mi fossi dedicato interamente all’elaborazione, all’affinamento, alla divulgazione e discussione di questo progetto con ogni mezzo di comunicazione e in ogni parte del Paese, probabilmente esso non avrebbe raccolto il consenso che oggi gli consente di essere sostenuto dalla parte maggiore dell’opinione pubblica. Se poi il progetto si realizza senza che sia io il ministro in carica, questo lo considero come un indice della sua buona qualità; non è dunque certo un motivo, ma – se possibile – di maggiore soddisfazione personale.  (p.i.)

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