LIBERO: IL NESSO STRETTO FRA CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI E CONTRATTO DI RICOLLOCAZIONE

AL VECCHIO REGIME DI JOB PROPERTY  STIAMO SOSTITUENDO UN SISTEMA DI PROTEZIONE APPLICABILE A TUTTI I LAVORATORI IN MODO UGUALE, BASATO NON PIÙ SULL’INGESSATURA DEL RAPPORTO DI LAVORO MA SULLA GARANZIA DI SICUREZZA ECONOMICA E PROFESSIONALE NEL PASSAGGIO DALLA VECCHIA OCCUPAZIONE ALLA NUOVA

Intervista a cura di Alessandro Giorgiutti, pubblicata da Libero il 19 settembre 2014 – In argomento v. anche la documentazione disponibile nel Portale del contratto di ricollocazione.

Professor Ichino, qualche giorno fa la Commissione Lavoro del Senato ha approvato il suo emendamento sul contratto di ricollocazione. In estrema sintesi, di che si tratta?
I lettori di Libero ricordano, probabilmente, un servizio molto ampio dedicato da questo inserto nel luglio scorso all’avvio della sperimentazione del contratto di ricollocazione a iniziativa della Regione Lazio per la soluzione della crisi occupazionale Alitalia. In sostanza si tratta di questo: la persona che ha perso il posto si reca al Centro per l’Impiego, dove viene individuato il suo grado di collocabilità e sulla base di esso le viene attribuito un voucher, proporzionato alla difficoltà del collocamento, per la remunerazione dei servizi di assistenza intensiva resi dalle agenzie specializzate. La persona sceglie l’agenzia tra quelle accreditate presso la Regione, stipula con essa e con il CpI il contratto, viene quindi affiancata da un tutor che la consiglia sugli itinerari da seguire e la segue continuativamente, eventualmente denunciando la sua non disponibilità effettiva per la ricerca o per le iniziative di riqualificazione necessarie.

Lo farà davvero?
Sì, perché la maggior parte del voucher sarà pagabile solo a risultato ottenuto. E se il disoccupato non è davvero disponibile per la ricerca il risultato non può essere ottenuto. Questo meccanismo attiva gli incentivi giusti per far funzionare davvero la “condizionalità” necessaria del sostegno del reddito.

Un primo via libera alla sperimentazione di questo contratto era arrivato lo scorso dicembre, con una norma contenuta nella legge di stabilità 2014. Ma dopo quasi un anno il regolamento attuativo manca ancora e la sperimentazione che il Lazio aveva annunciato rischia di saltare. Di chi è la colpa?
È un caso molto grave di inadempienza della struttura del ministero del Lavoro. Martedì scorso ho presentato la terza interrogazione in proposito, firmata da tutti i senatori della maggioranza in Commissione Lavoro. E ne ho anche parlato personalmente con il ministro Poletti, che ha condiviso il mio giudizio molto severo su questo episodio. Non so se attribuirlo a negligenza imperdonabile o a ostruzionismo strisciante.

 Chi avrebbe interesse a opporsi a questa sperimentazione?
Chi non apprezza l’idea che i servizi nel mercato del lavoro siano gestiti mediante una cooperazione tra struttura pubblica e operatori privati, in un regime di vera contendibilità della funzione. Inoltre i nostalgici del vecchio metodo con cui abbiamo sempre affrontato le crisi occupazionali: nascondendo la disoccupazione sotto la Cassa integrazione e mettendo i cassintegrati in freezer per anni. Proprio per Alitalia facemmo così nel 2008, stanziando a priori sette anni di ammortizzatore sociale, dando per scontato che nessuno degli assistiti potesse essere ricollocato. Sono in molti quelli che preferirebbero che si andasse avanti così.

Centri per l’Impiego e agenzie specializzate accreditate presso la Regione sono pronti, quanto a personale e competenze, ai nuovi compiti?
Sul versante delle agenzie, il sistema del voucher pagabile solo a risultato ottenuto consentirà di escludere automaticamente tutti gli operatori inefficienti, riqualificando la spesa pubblica. Sul versante dei CpI, occorre considerare che essi saranno chiamati a svolgere un ruolo di “cerniera” tra utente e operatori privati, di informazione, di controllo e rilevazione dei risultati, di “sportello reclami”, che dovrebbe valorizzare le loro capacità operative tipiche, senza eccederne i limiti. Per altro verso, si può sperare che l’operare quotidianamente a contatto con le agenzie specializzate costituisca uno stimolo per il personale dei CpI, che avrà un benchmark col quale confrontarsi.

Recentemente a Cernobbio il presidente dell’Agenzia federale per il lavoro tedesca, Frank-Jurgen Weise, ha sottolineato l’importanza di una gestione centralizzata del welfare, che in Germania prima delle riforme del 2002 toccava ai Comuni. In Italia sul tema il ruolo delle Regioni è invece centrale. Secondo lei deve rimanere tale?
Il disegno di legge-delega sul lavoro all’articolo 2 prevede che una struttura centrale, costituita in “agenzia” nella quale potranno confluire le risorse di Italia Lavoro e dell’Isfol, controlli l’operato dei servizi regionali e, dove questi non raggiungano uno standard minimo di efficienza e produttività, si surroghi a essi.

Passiamo alla disciplina dei rapporti di lavoro. Il suo contratto a protezione crescente presuppone una riforma del contratto a tempo indeterminato, che sostituisca l’indennizzo economico al reintegro nel posto di lavoro sostituendo l’articolo 18 dello Statuto. È soddisfatto dell’emendamento presentato mercoledì dal governo in Commissione al Senato?
Sì. Ma in quell’emendamento c’è un’altra previsione forse ancora più importante: il Codice semplificato del lavoro. La vera novità sta nel fatto che la materia dei licenziamenti non viene affrontata soltanto col sopprimere o cambiare una singola norma protettiva, ma col sostituire ad essa un intero sistema di protezione completamente diverso, centrato sulla sicurezza economica e professionale del lavoratore nel passaggio da una occupazione a un’altra. E suscettibile di proteggere allo stesso modo tutti i lavoratori, e non soltanto metà di essi, come fa la vecchia norma.

Se ho ben capito il nuovo contratto a tutele crescenti parte con un paletto chiaro: vale solo per le nuove assunzioni. È così
Sì. E questo è necessario anche per rendere credibile l’offerta di un nuovo sistema di servizi nel mercato del lavoro, centrato sulla cooperazione tra strutture pubbliche e private: l’applicazione solo a nuovi assunti consente una partenza graduale, dunque più realistica, di questo nuovo sistema.

Se l’obbligo del reintegro vada eliminato o debba essere reintrodotto dopo un certo periodo di tempo dovrà deciderlo a questo punto il governo.
Non c’è dubbio che la formulazione della delega lasci una notevole discrezionalità al governo nella formulazione del decreto. Però il principio enunciato su questo punto è abbastanza univoco: la protezione dovrà crescere al crescere dell’anzianità di servizio. Dovrà dunque essere applicata una tecnica protettiva suscettibile di modulazione, di gradazione, come l’indennizzo, il trattamento complementare di disoccupazione, l’assistenza intensiva nella ricerca del nuovo posto. La tecnica della reintegrazione non consente questa modulazione, essendo per sua natura binaria: il lavoratore o viene reintegrato o viene lasciato a casa; su questo terreno non ci sono vie di mezzo.

Però è difficile capire che cosa voglia fare Renzi. È vero che martedì in Parlamento ha usato un linguaggio assai vicino a quello dei sostenitori dell’abolizione (“questo è un mondo del lavoro basato sull’apartheid“). Ma in altre occasioni ha sostenuto che la questione del reintegro riguarda poche migliaia di controversie giudiziali.
Lo ha detto per sdrammatizzare la portata della questione. Quella notazione, comunque, non è del tutto corretta. Perché il numero delle controversie dipende soltanto dall’area di incertezza dell’esito del giudizio. Potremmo avere una norma così chiara e netta da azzerare quell’incertezza, col risultato che la norma si applica pacificamente in milioni di casi ma le controversie giudiziali sono zero. Il fatto che ci siano solo poche migliaia di cause in materia di articolo 18 non ci dice niente sugli effetti di questa norma nei nove milioni di rapporti di lavoro in cui essa si applica senza che ne nascano liti giudiziali.

Per concludere, i tempi: realisticamente, quanto si dovrà attendere perché il Jobs Act nel suo insieme diventi legge?
Se, come il governo intende fare, il lavoro di preparazione dei decreti delegati parte subito, in parallelo rispetto alla seconda lettura e all’eventuale terza del disegno di legge, potremmo anche avere il nuovo Codice semplificato già a gennaio.

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