VACCINAZIONE: QUANDO L’OSPEDALE NON LA ESIGE DAL PERSONALE SANITARIO

Se l’impresa non esplicita ai dipendenti il dovere di vaccinarsi, come misura di sicurezza adottata a norma dell’articolo 2087 del Codice civile, diventa poi un problema porre rimedio all’eventuale rifiuto ingiustificato

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Editoriale pubblicato su
Il Secolo XIX il 18 febbraio 2021 – In argomento v. anche il saggio nel quale ho esposto più compiutamente il ragionamento giuridico di cui qui propongo sinteticamente le conclusioni: Perché e come il dovere di vaccinarsi può nascere anche soltanto da un contratto di diritto privato.
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Il caso dell’Ospedale San Martino, che chiede alla Regione come comportarsi nei confronti del personale sanitario renitente alla vaccinazione anti-Covid, è una buona occasione per un chiarimento dei termini giuridici della questione.

L’articolo 32 della Costituzione pone il principio generale della tutela della salute di tutti, ma contemporaneamente sancisce la libertà di ciascuno di non sottoporsi a trattamenti medici, salvo che l’obbligo sia imposto da una legge. Il problema oggi nasce dal fatto che la legge italiana impone numerose vaccinazioni, ma non ancora quella anti-Covid: il che rende in linea generale legittimo il comportamento di chi, pur avendone l’opportunità, rifiuta la vaccinazione. Tuttavia la stessa legge italiana, precisamente l’articolo 2087 del Codice civile, impone al datore di lavoro il dovere di adottare tutte le misure che la scienza e l’esperienza indicano come necessarie per ridurre al minimo e possibilmente azzerare i rischi per la salute e la sicurezza dei dipendenti.

Ora, che la vaccinazione sia una misura efficace per combattere la diffusione del contagio da Covid-19 è considerato pacifico dalla comunità scientifica internazionale e dalle autorità competenti italiane. Se dunque, sulla base di questa indicazione desumibile dalla scienza e dall’esperienza, il singolo datore di lavoro con l’assistenza del medico competente ravvisa nella vaccinazione contro il Covid-19 una misura utile per ridurre apprezzabilmente il rischio del contagio in azienda, a norma dell’art. 2087 egli ha il potere/dovere contrattuale di adottare questa misura. E, ovviamente, di esigerne il rispetto da parte dei dipendenti, salvo il caso di un motivo giustificato di rifiuto (per esempio la gravidanza, la condizione di immunodepressione, o altre controindicazioni mediche).

Complementare all’articolo 2087 del codice civile è l’articolo 20 del Testo Unico sulla sicurezza negli ambienti di lavoro (d. lgs. n. 81/2008), che testualmente recita: “Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro […], conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”. Anche senza che venga emanata una legge ad hoc, opportuna ma non indispensabile, ben può dunque essere il rapporto contrattuale di lavoro a sostenere la diffusione della copertura vaccinale, perché dove sia a rischio la salute delle persone il contratto può ragionevolmente imporre questa misura di protezione, là dove essa sia concretamente praticabile.

Alle norme citate di aggiunge poi l’articolo 42 del decreto-legge n. 18/2020, che ha qualificato l’infezione da Covid come infortunio sul lavoro, proprio in considerazione dell’elevatissima contagiosità e diffusione dell’infezione, nonché dell’alta probabilità che in un ambiente chiuso anche una sola persona portatrice del virus lo trasmetta a molte altre. È quanto basta perché di questo rischio il datore di lavoro sia obbligato a farsi carico.

Per tornare al caso dell’Ospedale San Martino, se la Direzione ha chiesto al personale sanitario di vaccinarsi, come misura necessaria per garantire il massimo di sicurezza dei pazienti e degli stessi dipendenti, il rifiuto ingiustificato costituisce inadempimento contrattuale. In questo caso, se non sono ragionevolmente possibili altre soluzioni organizzative efficaci, l’Ospedale ha il dovere di sospendere dal lavoro la persona renitente; ed essendo l’impedimento imputabile a quest’ultima, per il periodo di sospensione non le è dovuta alcuna retribuzione. Se invece finora la Direzione non ha indicato ai dipendenti questa misura come necessaria, a norma dell’articolo 2087 del Codice civile, sarà bene che lo faccia al più presto, per evitare che gli eventuali danni derivanti dall’omissione le vengano imputati domani.

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